Un po' di divulgazione
(testi originali scritti per mezzo della mia personale esperienza e di ricerche su svariate fonti anche sul web)
Questa pagina: work in progress - ultimo aggiornamento Ottobre 2014
Il calcolo e la scrittura nella storia Cenni
sull’invenzione della macchina per scrivere e della calcolatrice automatica
Il volo dell'intelletto - George Edward, circa 1830 - immagine tratta dal web
La storia dell’uomo è caratterizzata dalle conquiste tecnologiche. A ogni passo in avanti del cammino del progresso, nuove macchine e nuovi ritrovati hanno permesso di concretizzare sogni fino a poco prima irrealizzabili. Ciò che una volta era possibile solo immaginare diventa, prima o poi, una realtà e tanti sono gli esempi che possiamo indicare, dal sogno di
volare di Icaro a quello di viaggiare a velocità sempre maggiore su
veicoli sempre più potenti, a quello di sapere ciò che succede in posti
lontani. La nascita di apparecchi volanti, di automobili, di treni, di
radio e televisione è effettivamente la risposta, magari attesa per
millenni, a sogni dell'uomo e sono oggi conquiste talmente diffuse che
non le riteniamo nemmeno ottenute con fatica.
Icaro e Dedalo 
Wright brothers, 17 dicembre 1903




Immagini tratte dal web
Televisione meccanica - anni Venti e Trenta
L’idea di semplificare, accelerare e facilitare il calcolo è antichissima e risponde soprattutto alla necessità di trasformare un compito estremamente ripetitivo e noioso ma anche eccezionalmente importante in un’operazione facile, sicura e affidabile. Fare di conto è, infatti, un’esigenza che affonda le sue radici all’alba delle civiltà, con lo scopo di amministrare beni e territori. Il calcolo è nato ben prima della scrittura: lo si nota, infatti, innato già nel bambino in età prescolare e si presume che l’esigenza di tenere conti sia nata spontaneamente circa trentamila anni fa quando gli uomini dovettero cominciare ad associarsi nelle attività di caccia, pastorizia e coltivazione: la necessità di dividere i frutti del lavoro e tenere sotto controllo i propri beni fu la spinta primaria per l’invenzione dei primi sistemi di calcolo,
generalmente basati su elementi simboleggianti le dita della mano. In
questa fase storica non si tratta ancora di eseguire operazioni
matematiche quanto di annotare, semplicemente, movimenti di merci. Per
questo scopo è sufficiente tenere traccia degli scambi elencando i beni
e numerandoli. La numerazione nasce quando l'uomo trasferisce su un
supporto, dapprima in argilla (che può essere cotta e quindi diventare
duratura), ciò che si fa normalmente utilizzando le dita della mano. In
tal senso nasce la numerazione a base 10 ma è provato che in diverse
parti del mondo, in epoche storiche pressochè contemporanee, sorsero
sistemi di numerazione a base otto e sessagesimali.
La
numerazione a base otto è apparentemente curiosa, e risponderebbe al
fatto che in talune civiltà dell'antichità si usassero solamente le
dita non opponibili delle mani, utilizzando forse i pollici per tener
conto dell'ordine raggiunto. Fatto sta che il sistema ottale è arrivato
fino all'età moderna e utilizzato persino in taluni linguaggi di
programmazione di computer. Il sistema sessagesimale sembrerebbe essere
nato utilizzando, per contare, anche le dita dei piedi. In questo caso,
come mai si arriva a sessanta? Per noi europei la domanda può sembrare
ovvia e ragionevole ma il sistema di conto manuale utilizzato nei paesi
anglosassoni ci avvicina alla risposta: se contiamo sulle dita di una
mano fino a cinque possiamo utilizzare un dito dell'altra mano per
rappresentare una cinquina. Utilizzando quindi ambedue le mani
arriviamo a cinque cinquine e, ovviamente, abbiamo ancora una mano
piena di cinque, per un totale di trenta. Utilizzando anche le dita dei
piedi, si arriva a sessanta. Se osservate i bambini inglesi o americani
contare con le dita, vi accorgerete di quanto questo sistema sia
utilizzato ed efficace. Questo sistema permette, in effetti, di
"misurare" con valori più alti rispetto al sistema decimale e richiede
anche un maggior impegno mentale, cosa che non fa affatto male.
Solamente, nell'era dell'automazione, non abbiamo più bisogno di fare i
conti a mente, con ciò perdendo moltissimo in capacità mnemoniche e di
ragionamento. Chi sa utilizzare il cervello per fare calcoli può
arrivare a vette altissime. Per fare un esempio, basta chiedere a
Richard P. Feynman.
Strumenti
di calcolo veri e propri, e per questo intendiamo anche sistemi di
operazioni matematiche e simboli atti a trasmettere valori e
operazioni, sono stati inventati e impiegati, successivamente, quando l’uomo ha cominciato a scambiare i suoi prodotti passando dal semplice baratto all’arte del commercio. Come abbiamo visto, dopo l'utilizzo delle tavolette di argilla impiegate in Mesopotamia per la semplice registrazione delle entrate e delle uscite di merci si arriva al primo vero strumento di ausilio per il calcolo, l’abaco, probabilmente inventato in Cina intorno all'anno duemila aC.
Con l'abaco si può effettuare un calcolo senza utilizzare superfici di
registrazioni e così annotare solamente il risultato; l'abaco è anche
facile da imparare e per questo insegnato anche nelle scuole e in
alcune civiltà una persona che impari a fondo l'utilizzo del calcolo
diventa autorevole e rispettato, poichè ricercato per i commerci e per
risolvere problemi complessi. Notiamo che il termine moderno “calcolo” deriva dal latino “calculus” che identifica un semplice sassolino, l’elemento impiegato per insegnare a fare di conto ai bambini.
La meccanica viene per la prima volta applicata alla funzione di semplice somma in un geniale strumento di probabile invenzione greca (donde il nome), l’odometro, che serve a visualizzare una distanza su dischi rotanti azionati dal moto di una ruota di un carro; questo strumento è la prima forma di calcolo meccanico applicato all’industria e al commercio. Questo
potrebbe trattarsi anche del primo utilizzo pratico dell'ingranaggio,
ruota munita di denti con lo scopo di trasmettere moto o informazione.

Vite senza fine - immagine tratta dal web
Esistono evidenze che dimostrano il suo utilizzo in campo terrestre e marittimo per misurare le distanze percorse. I romani perfezionano lo strumento e lo impiegano diffusamente per la costruzione della loro enorme rete stradale e si può dire che l’odometro sia stato basilare proprio per consentirne le celebri caratteristiche di precisione. Menzionato e perfezionato anche da Leonardo da Vinci, l’odometro sfrutta invenzioni geniali come la vite senza fine e l’ingranaggio di riporto e costituisce il primo esempio di calcolo meccanico e il punto di partenza per lo sviluppo delle calcolatrici meccaniche basate su dischi rotanti e ingranaggi del Seicento. L’odometro rimane pressoché inalterato per molti secoli e ancora oggi è possibile vederlo all’opera nei cantieri stradali.

Carro romano con funzione di odometro - immagine tratta dal web
Nei
secoli bui del medioevo la tecnologia, in qualunque campo, è
caratterizzata da uno sviluppo molto lento e moltissime discipline si
mantengono invariate per intere generazioni: nel lavoro dei campi si
utilizzano per millenni semplici macchine come le pompe a vite o gli
argani, ma è un fatto che l'uomo cerchi sempre di trovare una soluzione
a un problema pratico, non foss'altro che per fare meno fatica; è
comunque la spinta che serve a inventare apparecchi che non
esistevano prima. L'esigenza di misurare il tempo diventa via via
sempre di maggiore rilevanza poichè serve per i trasporti di merci; nei
trasporti via mare il sistema di controllo del tempo è alla base della
navigazione efficiente. Quando un orologio meccanico si dimostra in
grado di funzionare correttamente e con errore di pochissimi secondi
dopo molti giorni di navigazione, si dà l'avvio all'esplorazione e alla
scoperta di nuovi continenti. Nel Cinquecento lo sviluppo dell’orologeria pone le basi per la meccanica di precisione. Molti artigiani raggiungono notevoli vette nella costruzione di ingranaggi di piccole dimensioni che consentono agli orologi di diminuire gli ingombri e migliorarne le caratteristiche di precisione e regolarità. Peraltro non esiste ancora un processo industriale standardizzato e semplicemente ogni costruttore di orologi produce macchine completamente diverse e incompatibili con analoghe costruite da altri. Nel Seicento la meccanica di precisione è ormai matura per lo sviluppo delle prime macchine contatrici, che non sono altro che tentativi di automatizzare somme di numeri. L’idea è gettata ma molte lacune di progetto e tecnologiche non facilitano il lavoro dei costruttori che si accingono a questa sfida. Notevole, comunque, in questo momento storico, rimane il lavoro del tedesco Wilhelm Schickard, che già nel 1623 mette a punto la prima calcolatrice meccanica a sei cifre, sia pure con qualche difetto costruttivo legato alle difficoltà tecnologiche e a quelle progettuali. Il matematico tedesco è il primo a realizzare una macchina meccanica, definita da lui stesso “orologio contatore” che, anche se mancante di alcuni dispositivi necessari e impossibili da realizzare mediante la tecnologia della sua epoca, rappresenta il fondamento delle giuste intuizioni e delle esatte procedure tecniche e comunque anticipa il lavoro più famoso di Blaise Pascal di una ventina di anni.
Ricostruzione dell'Orologio Contatore di Wilhelm Schickard - immagine tratta dal web
E’ celebre, in tal senso, la macchina addizionatrice di Blaise Pascal datata intorno al 1645, la cosiddetta Pascalina, che è passata alla storia per essere la prima macchina addizionatrice realmente funzionante, sebbene meno sofisticata di quella di Schickard, e fu il punto di partenza per una serie pressoché infinita di dispositivi via via sempre più sofisticati.

Ricostruzione della macchina calcolatrice di Pascal - immagine tratta dal web
Macchine
in grado di eseguire somme e sottrazioni ma non ancora divisioni e
moltiplicazioni cominciano a diffondersi, anche se rimangono delicate e
costose e non in grado di reggere un lavoro continuo ed intenso. A
partire dalla seconda metà del Seicento diversi costruttori realizzano
calcolatrici diverse e sviluppano meccanismi geniali, anche se in tutti
i casi si tratta di opere con impronta artigianale e realizzate in
piccolissime serie e destinate a rimanere poco diffuse. Infine la macchina di Gottfried Wilhelm von Leibniz,
concepita intorno al 1694 e sviluppata dallo stesso inventore negli
anni successivi, fu la prima vera e completa macchina calcolatrice in
grado di effettuare le quattro operazioni e anche radici quadrate
grazie all’introduzione del tamburo accumulatore che può essere
spostato trasversalmente per scomporre in semplici serie di addizioni e
sottrazioni le operazioni di moltiplica e divisione.


Replica della calcolatrice di Leibniz - immagini tratte dal web
Da
questo momento in poi il calcolo meccanico è pronto, sia
concettualmente che tecnologicamente, a diffondersi in tutto il mondo.
Grazie al grande sviluppo della tecnologia meccanica di
precisione nell’industria dell’Ottocento lo si vedrà invadere uffici e
società commerciali di ogni dimensione. In
questo campo Olivetti ha lasciato un segno davvero tangibile, per mezzo
di macchine all'avanguardia e tecnicamente innovative. Calcolatrici
Olivetti sono conosciute in tutto il mondo e molti esemplari sono
conservati perfettamente funzionanti in musei e strutture espositive
d'arte moderna. Collezionisti di tutto il mondo le celebrano e da
qualche tempo anche sul web è possibile contattare appassionati di
Olivetti.

Olivetti Divisumma 24 (1966) - immagine tratta dal web
* * * * *
Nel frattempo un’altra esigenza stava nascendo, intorno all’età medioevale. La trasmissione della cultura e delle informazioni era da sempre affidata ai manoscritti, in una lunghissima epoca in cui l’alfabetizzazione era pressoché riservata a potenti, nobili e benestanti che dovevano, peraltro, comunque quasi sempre rivolgersi a persone specializzate nell’arte della scrittura, gli scrivani; la diffusione dei libri manoscritti fu ovviamente molto lenta e soggetta ad errori e manchevolezze dato che i volumi, che potevano essere solamente ricopiati a mano da altri tecnici parimenti specializzati, diventavano via via copie di copie e soggette a frequenti errori di trascrizione. Si comprende facilmente come problemi dell’interpretazione della grafia producessero gravi difficoltà nella riproduzione manuale di un volume. Fu in questo contesto che l’idea di meccanizzare e standardizzare la scrittura sorse nel Trecento e portò, gradualmente per mezzo di idee e inventori diversi, alla nascita della stampa, realizzata con numerose diverse tecniche in tutto il mondo. La stampa a caratteri mobili fu un traguardo che permise il primo salto di qualità nella diffusione del sapere e per la prima volta rese disponibile un maggior numero di copie di un’opera scritta. Ma ciò, se risolveva il problema della qualità del volume e permetteva l’abbattimento dei costi, non era ancora la soluzione all’esigenza di ogni persona che si dedicasse al commercio e alle arti di redigere scritti, note, bollette e lettere di corrispondenza. Tutti documenti che dovevano comunque essere impiegati per permettere lo scambio sempre maggiore di beni e servizi. Nel Settecento appaiono le prime idee di macchine atte a imprimere su carta caratteri simili a quelli di stampa per ottenere, in una sola copia e immediatamente, un documento perfettamente leggibile da chiunque. Con lo scopo di superare anche l’ostacolo della grafia di difficile interpretazione, Henry Miller nel 1714 realizza una macchina che effettivamente riesce, piuttosto laboriosamente, a lasciare segni di scrittura sulla carta ma l’apparecchio è ben lontano dall’essere una macchina utilizzabile velocemente e proficuamente.
L’Ottocento è il secolo che vede la macchina per
scrivere diventare finalmente un vero e proprio strumento di
comunicazione, maturo e commercializzabile; dapprima, nella prima
metà del secolo, molti inventori si distinguono per produrre alcuni passi intermedi davvero notevoli, elementi meccanici che realizzano in parte il lavoro di selezione, inchiostrazione e impressione su carta di un carattere. Il meccanismo che permette questo lavoro è oggi definito “cinematico” e rappresenta il cuore della macchina per scrivere a tal punto che ogni fabbricante realizza e
brevetta il proprio e lo sviluppa per renderlo sempre più efficiente e
preciso. A poco a poco i meccanismi si standardizzano e moltissime
industrie fabbricanti fioriscono e si lanciano sul mercato, che sarà la
vera palestra di cimento per il nuovo strumento tecnologico e dove
solamente le migliori macchine avranno un futuro. All'inizio del
Novecento la macchina per scrivere è un apparecchio estremamente
versatile e preciso e quindi anche diffusissimo, tanto che la
pubblicità punterà anche alle famiglie e cercherà di convincere molti
studenti, aspiranti dattilografe, piccoli commercianti, che non si può
fare a meno di una macchina per scrivere per lavorare o per trovare
lavoro. Alcuni fabbricanti avranno vita breve, altri diventeranno anche
famosi ma non dureranno molto a lungo e qualche nome diventerà mitico.
Tra questi Olivetti, IBM, Remington e altre marche che faranno faville
anche nel campo dell'elaborazione dati parecchi decenni più tardi.
Intorno
alla metà del secolo XIX, in piena era di espansione industriale, la
macchina per scrivere rappresenta già un simbolo di tecnologia e molte
piccole industrie sorgono anche per produrre accessori e consumabili;
nasce così anche la carta carbone, segno che la società
è ormai esigente anche nel campo della produzione di copie immediate di
un documento, mentre pochi anni prima molti inventori avevano
pensato alla
macchina per scrivere come ausilio per le persone prive della vista,
forse con poca avvedutezza e scarso senso degli affari;
anche in Italia Carlo Ravizza presenta il suo Cembalo Scrivano esattamente con questo intento.


Il Cembalo Scrivano di Ravizza (replica) - immagini tratte dal web
Naturalmente
il mercato guiderà lo sviluppo e bisogna dire anche che le guerre
mondiali hanno dato impulso alla tecnologia della scrittura perchè i
governi cercavano mezzi di comunicazione e di scrittura robusti,
affidabili e possibilmente fabbricati in proprio, senza dipendere dalle
importazioni. In questo senso in Italia l'autarchia imposta dal governo
fascista come mezzo per sostituire le importazioni sospese dalle
nazioni nemiche diventava addirittura un mezzo di propaganda e di
educazione di massa. Le macchine prodotte in Italia, a parte le
Olivetti che era già una realtà solida e conosciuta, erano tutte
pensate per essere economiche... anche se ovviamente non erano vette di
tecnologia a causa dei materiali di scarsa qualità.
Nel Novecento, finalmente, e dopo che molte macchine dalle bizzarre trovate meccaniche e tecnologiche appaiono e scompaiono nel giro di pochi anni, la macchina per scrivere diventa
un apparecchio che può essere prodotto in serie e venduto, non
solamente alle società commerciali ma anche ai privati e quindi
utilizzato da una vastità di persone dietro un relativamente semplice addestramento. Dagli anni Trenta la macchina per scrivere è uno strumento maturo, completo ed efficiente che invade il mondo e che permette il sorgere di moderne attività di amministrazione per società grandi e piccole ma se grandi, sempre più grandi e diffuse nel mondo. Nasce così la figura del dattilografo e molto spesso si tratta di una donna, che finalmente si vede inserita nel mondo del lavoro in una posizione importantissima che richiede precisione e rapidità. La segretaria diventa la figura più importante in tutte le società commerciali.

Macchina per scrivere Underwood - circa 1910 - immagine tratta dal web
Se
ci fermiano un momento a riflettere, troviamo che la nascita della
macchina per scrivere ha permesso di rendere la scrittura veloce come
il pensiero e di condividere con il prossimo idee che potrebbero rimanere sepolte o dimenticate solamente
a causa della cattiva grafia dell’autore. Pensiamo a come alcuni grandi
scrittori del passato, un Dante, un Foscolo, un Omero, avrebbero potuto
scrivere altre numerose opere immortali se avessero avuto tra le mani
una macchina per scrivere! E come non pensare a leggere arzigogolate
grafie antichissime con difficoltà, che sarebbero molto più leggibili
se scritte con un bel carattere Pica! Finalmente chiunque, se può
accedere all’uso di una macchina di questo tipo, è in grado di farsi leggere da un vastissimo pubblico. I caratteri scritti su carta, assolutamente regolari, uniformi e chiari, possono essere letti con facilità. Già nella prima metà del Novecento la macchina per scrivere invade qualunque ufficio e molti ritrovati tecnologici la velocizzano. Nascono macchine per scrivere dotate di motori elettrici, capaci di scrivere a grande velocità e in grado di imprimere molte copie alla volta; e arrivano anche macchine in grado di compilare contabilità. La meccanica arriva, già negli anni Trenta, a un tale grado di perfezionamento tecnico che permette all’uomo di scrivere anche più velocemente della lettura e in questo senso è stato un italiano, Alfredo Tombolini, grande tecnico meccanografico del Novecento, a diventare campione mondiale di velocità di scrittura dattilografica utilizzando una macchina manuale da lui stesso modificata e preparata, fissando primati a ripetizione e arrivando a un record di velocità nel 1950 di 948 battute al minuto che è destinato a rimanere imbattuto per sempre. Leggenda vuole che Tombolini scrivesse più veloce dell’incaricato
alla dettatura che aveva bisogno di fermarsi per riposare. Tombolini
scriveva con tale rapidità che il rumore della sua macchina
assomigliava a quello di una mitragliatrice.
Alfredo Tombolini,
circa anni Trenta - immagine tratta dal web
Il passo successivo è stato quello dell’introduzione dell’elettronica, verso la fine degli anni Settanta che, se da un lato non ha aumentato la velocità della scrittura, ne ha ampliato enormemente la versatilità; la macchina per scrivere elettronica è arrivata, negli anni Ottanta, a gestire e archiviare migliaia di documenti e solamente in seguito allo sviluppo dei primi computer di massa, che richiesero circa dieci anni per recuperare il ritardo, si è giunti all’esaurimento di ulteriori sviluppi della macchina per scrivere. In questo campo Olivetti nel 1978 fu la prima produttrice al mondo di una macchina per scrivere completamente elettronica, ma già dieci anni prima Olivetti realizzava il primo vero computer destinato all’amministrazione
aziendale. Olivetti realizzava macchine elettroniche destinate
all'elaborazione e all'archiviazione di testi efficientissime che
invasero l'Italia e il mondo qualche anno prima che i personal computer
fossero in grado di fare lo stesso. Ancora oggi in qualche ufficio è
possibile vedere sistemi ETV o piccole CWP1, ancora funzionanti e
dotate di tanti floppy disks! Certo, si può dire che tutto ciò che
queste macchine hanno prodotto oggi potrebbe essere comodamente riposto
in una chiavetta USB, ma non fareste i conti con quello che i
possessori di tali macchine pensano dei computer...
Olivetti è il nome che da sempre, in Italia, indica la macchina per scrivere. Ma Olivetti è un nome famoso in tutto il mondo ed è ancora oggi riconosciuto per innovazione tecnologica, creatività e design. Macchine che hanno fatto la storia della dattilografia e che hanno letteralmente invaso il mondo sono la M40, la Lexikon 80, la Diaspron 82, la Tekne e la Editor e le portatili MP1 ICO e Lettera 22. Queste macchine sono ancora oggi conosciutissime e ricercate e sono state prodotte in milioni di esemplari in innumerevoli versioni. Alcune macchine sono diventate, al loro apparire sul mercato, veri standard del design e celebrate nei musei ed esaltate nei luoghi di ricerca industriale. Olivetti significava, ancora negli anni Settanta, l’apice della creatività e dell’industria italiana e chi lavorava in Olivetti o riparava Olivetti era considerato un tecnico di successo. Possedere una macchina Olivetti era motivo di orgoglio e la si poteva acquistare anche a rate. La macchina era quindi custodita gelosamente e conservata con cura e non era infrequente portarla in uno dei tantissimi centri assistenza per far eseguire manutenzioni e riparazioni.
  Questo modo di pensare è oggi del tutto assente, in un’era digitale che prevede il continuo ricambio di computer e stampanti che diventano obsoleti in brevissimo tempo: possedere un cellulare o un tablet è una soddisfazione che deve durare solo pochi mesi poiché un nuovo modello sarà lanciato sul mercato entro poco tempo e l’informazione pubblicitaria renderà assolutamente necessario acquistare un nuovo modello per non sentirsi fuori
moda. Ma non è un caso che la crisi economica globale che da svariati
anni imperversa stia riproponendo tecnologie del passato che si
dimostrano ancora efficienti e solide. La new economy non ha dimostrato
simili solidità e concretezza e nel mondo sempre più appassionati
cominciano a riscoprire macchine per scrivere e calcolatrici. Possiamo
anche pensare che simili macchine non soffrono di blocchi di sistema (a
parte usura di camme ed elementi in movimento) e non occorre chiuderle
e riaprirle per vedere se funzionano nuovamente... e comunque non
soffrono di virus e non sono soggette ad attività di controllo e
spionaggio.
Invece l’Olivetti Lettera 22 era studiata e fabbricata per durare decenni e chi ancora
oggi la possiede è ancora oggi orgoglioso e in Italia tutti riandiamo
con la mente a nomi illustri della scrittura e del giornalismo, se
proprio non vogliamo scomodare Hemingway. Olivetti ha anche prodotto
calcolatrici che sono state vendute in tutto il mondo e riconosciute come innovative e all’avanguardia già negli anni Quaranta. La meccanica delle calcolatrici elettriche, come le celebri Divisumma, è di eccelso livello e in moltissimi uffici era considerata una vera preziosissima risorsa. Le grandi aziende che dovevano compilare contabilità in elevati volumi disponevano di stanze appositamente pensate per l’uso intensivo di calcolatrici e macchine per scrivere in epoche precedenti l’arrivo dei primi computer. Il frastuono prodotto da cinquanta macchine per scrivere che battevano ferocemente e contemporaneamente è un suono oggi non più ascoltabile, ma autentico ricordo di anziani tecnici e capitani di industria che, in epoche che oggi paiono davvero remote, lavoravano e producevano con entusiasmo e alacrità. Nell’era del computer e di internet non si vivono più di simili esperienze. Non si può dire
che sia un male ma certamente anche quelli erano bei tempi. Una
macchina per scrivere o una calcolatrice che giace in cantina o in
solaio, se discretamente conservata, può riprendere vita... mentre un
computer, dopo pochi anni nelle stesse condizioni, no. L'emozione di
scrivere su carta con una macchina di un secolo di età è qualcosa di
indescrivibile, e sapere che altre mani l'hanno toccata, e ancora prima
altre mani l'hanno pensata e costruita, equivale a toccare con mano il
tempo.
|